Gilles Deleuze e Felix Guattari ci suggeriscono che le “forze del caos” possono essere fronteggiate “costruendo ritornelli”, creando ritmi che marcano dei confini nello spazio-tempo indeterminato. Un po’ come i bambini che disegnando un cerchio con il gesso sulla strada, ritagliano la propria casa, uno spazio abitabile entro cui giocare. I due filosofi francesi facevano riferimento all’arte come strumento privilegiato per generare questi ritornelli, marcare questi confini nel caos, rimanendone però in dialogo. Il lavoro sopra descritto nello scorso articolo di produzione poetica e diaristica proposto ai ragazzi può probabilmente attivare un processo simile.
Si può parlare di ritmo come strumento per affrontare il caos anche in riferimento all’importanza – in una situazione come questa di assenza di impegni vincolanti imposti dall’esterno – di scandire momenti diversi nella propria giornata, mantenendo un controllo sul tempo. Un post che è molto girato sui social network nelle scorse settimane conteneva una citazione attribuita ad una scrittrice russa (di cui non sono riuscito a recuperare molte altre informazioni) che recita così: “Una volta la nonna mi aveva dato un consiglio: Nei periodi difficili, vai avanti a piccoli passi / Fai ciò che devi fare, ma poco alla volta / Non pensare al futuro, nemmeno a quello che potrebbe accadere domani / Lava i piatti. Togli la polvere / Scrivi una lettera. Fai una minestra / Vedi? / Stai andando avanti passo dopo passo. / Fai un passo e fermati. Riposati. / Fatti i complimenti. Fai un altro passo. Poi un altro. / Non te ne accorgerai, ma i tuoi passi diventeranno sempre più grandi. / E verrà il tempo in cui potrai pensare al futuro senza piangere.” Al di la della retorica un pò consolatoria, perfetta per l’ambiente dei social network, il brano contiene un messaggio che potremmo immaginare che sia consegnato simbolicamente da un anziano (la generazione più martoriata in questi giorni) che ha vissuto la povertà, magari la guerra, ai più giovani rimasti orfani della scuola.
Il suggerimento è di stabilire ritualità nella propria quotidianità, non lasciarsi andare ma coltivare impegni dando valore al tempo presente, un tempo “liscio” in cui possono avere gioco facile piattaforme come netflix, youtube, instagram, progettate per generare dipendenza, rapire nella “zona della macchina” (Dow Schull) in cui il presente scompare, lasciando poi però una sensazione di immobilità, impotenza, disistima.
Molti ragazzi con cui lavoriamo raccontano di situazioni in cui si sentono completamente in balia di queste piattaforme, invertendo talvolta il ritmo sonno-veglia. Imporre un ritmo proprio, lo sviluppo di un’autodisciplina che renda liberi di disporre di sé, si rivela obiettivo educativo ancora più importante.
Uno spazio di azione difficile
Ma cosa possiamo fare noi per sostenere i ragazzi su questo fronte? Sicuramente è uno dei campi in cui abbiamo meno possibilità di essere incisivi. La nostra azione si innesta nel territorio educativo totalizzante che è quello dei contesti famigliari dei ragazzi, uno spazio-tempo fuori dalla nostra influenza.
Proverò comunque, sulla scorta delle riflessioni e sperimentazioni attuali, ad evidenziare alcune piccole possibilità di movimento:
a- Sostenere a distanza
Con i ragazzi possiamo anzitutto tematizzare la questione, accogliere le loro storie, le difficoltà, le loro ritualità quotidiane o la difficoltà di costruirne. Si può ascoltare in modo non giudicante come è organizzata la loro giornata e suggerire individualmente impegni minimi alla loro portata, che possano davvero generare piccoli scarti. Quando è possibile è molto utile creare sinergia con la famiglia, sostenendo i ragazzi nel chiedere ai genitori (è importante che lo facciano loro stessi) un aiuto a mantenere delle ritualità che in prima persona si sono proposti.
Allo scopo di supervisionare anche questo aspetto abbiamo deciso di dedicare ad ognuno un contatto settimanale con il tutor.
b- Spostare lo sguardo dal futuro ad un presente che vale la pena venga vissuto
Il consiglio della nonna per affrontare tempi difficili è quello di non pensare al futuro, ma di concentrarsi sul presente. Si tratta di un approccio che all’Anno Unico abbiamo fatto nostro già prima di quest’emergenza: siamo chiamati a lavorare con ragazzi in dispersione scolastica (per cui simbolicamente si è interrotto il “viaggio verso il futuro”) in un momento storico in cui lo stesso futuro ha cambiato di segno, da speranza diventato una minaccia (era già così anche prima del virus…). In questo contesto è risultato prezioso rivalutare la dimensione del presente, il valore di ogni passo, concentrarsi su ciò che oggi, un giorno dopo l’altro, può far sentire “di più” (Freire) senza comunque rinunciare alla dimensione del desiderio.
Declinato in questa situazione il suggerimento è di sottolineare con i ragazzi come il momento attuale non sia una spiacevole parentesi in attesa che il mondo ricominci, ma un tempo-risorsa in cui al contrario tutto si fa più intenso, così anche le possibilità di crescita e di cambiamento, indipendentemente da quello che sarà poi. La quarantena diventa in questo modo una sorta di rito di passaggio, uno spazio dove la quotidianità si sospende ma il processo trasformativo accelera.
Un esempio di questo si è appena visto con Monica: nel suo diario scrive che è molto dispiaciuta che tutto questo stia accadendo proprio ora, nel momento in cui (dopo tre anni di assenza da scuola) stava cercando di cambiare sfruttando al massimo l’occasione dell’Anno Unico per riprendere il proprio percorso formativo. L’attuale destabilizzazione potrebbe compromettere la possibilità di raggiungere gli obiettivi minimi per l’inserimento nella nuova scuola. Noi formatori, che eravamo ignari di questa preoccupazione, avevamo semplicemente osservato che lei, dall’inizio del lockdown, stava mettendo un impegno ancora più forte di prima nel portare a termine le attività assegnate, mostrando particolare sensibilità nel lavoro più riflessivo, e ci commuoveva il fatto di vederla seguire le video-lezioni del primo pomeriggio mentre riordina la cucina, in una casa dove il suo contributo nelle faccende domestiche è fondamentale.
Dopo aver letto quelle parole sul suo diario le abbiamo restituito che noi non sapevamo cosa sarebbe successo dopo, se a settembre ci sarebbero state le condizioni per l’inserimento che tanto desiderava. Però quello che potevamo fare era testimoniare quello che stava accadendo nel presente, che per lei era davvero l’anno del cambiamento, che avevamo di fronte una ragazza che stava crescendo velocemente, un processo irreversibile al di là di come sarebbe andata scolasticamente nei mesi immediatamente successivi. Una restituzione del genere l’ha colpita e in qualche modo forse ridato senso al suo fare.
Sostenere un’ecologia del tempo attraverso il ritmo dei nostri stimoli
Un’altra possibilità tra quelle a nostra disposizione è relazionarci nei confronti dei ragazzi in modo “ritmico ed ecologico”. Se la scuola o il lavoro educativo in presenza ha orari rigidi (anche eccessivamente) il lavoro a distanza talvolta rischia di essere troppo destrutturato, basandosi sui contributi individuali di formatori e operatori, non sempre coordinati: ognuno invia le proprie comunicazioni in qualsiasi orario, il suo carico di compiti senza conoscere quanto affidato dai colleghi.
Un forte coordinamento nell’interfacciarsi con i ragazzi, rispettando un loro sano bio-ritmo può essere un punto di partenza importante.
Come equipe noi ci siamo ci siamo presi questi impegni:
– Dare regolarità alle nostre comunicazioni: I messaggi dei compiti, i colloqui telefonici, le videochat, le trasmissioni radio sono appuntamenti che si devono ripetere ogni settimana il più possibile sempre negli stessi giorni e orari, evitando la frammentazione. (Questo richiede una forte autodisciplina anche da parte nostra, dato che non tutti, chi scrive prima di tutto, annoverano la puntualità e l’ordine tra le loro qualità migliori)
– Far si che il carico di lavoro e coinvolgimento nelle attività sia tarato sulle possibilità ed esigenze dei ragazzi. Significa trovare quel delicato equilibrio tra attivarli in modo significativo, far sentire la nostra presenza ma senza superare il limite sottile al di là del quale si produce ansia, che per qualcuno si declina in iperattività per essere “all’altezza”, sacrificando tempi per altre attività o il riposo, mentre per altri in una resa a priori.
– Dare la possibilità di personalizzare il carico di lavoro.
Instaurare un’attenzione individuale e fornire le risorse affinchè i ragazzi possano costruirsi un proprio programma di lavoro, variando carico e tipologie di attività a seconda della propria situazione e dei propri obiettivi. A