Personaggi fantastici per urgenze reali

Quando i personaggi di film, serie tv, anime, manga divengono stimolo per porsi domande importanti sul mondo, la vita, se stessi

Il valore degli immaginari fantastici e inquietanti

Tempo fa suggerivo, nel manifesto della pedagogia nerd , di riscoprire il valore della narrativa fantastica nel lavoro con gli adolescenti: romanzi, serie, film, fumetti di fantascienza, fantasy, weird, fan fiction, anime, manga – quali risorse di riflessione su sé stessi e sul mondo, di apprendimento e crescita. Sottolineavo l’importanza del ruolo dell’adulto come facilitatore nell’emersione dei temi, delle domande, dei risvolti generativi presenti in questi immaginari. Un intento che ci richiede di imparare a convivere con creature poco raccomandabili: demoni, spettri, mostruosità di ogni sorta, immaginari imprescindibili che la modernità e l’ideologia della tecnica ha cercato in ogni modo di rimuovere, o di trasformare solo in innocuo entertainment.

Lo spazio educativo può essere allora il luogo dove riscoprire questa dimensione, per i ragazzi, per noi, per un mondo che ne ha sempre più bisogno.

In particolare per chiunque lavori con gli adolescenti è fondamentale attraversare questi territori, e magari riuscire anche a coglierne il fascino estetico, vitale, d’intesità. L’adolescenza è la fase della vita in cui, più di ogni altra, si sente l’urgenza di esplorare i limiti, l’estremo, l’inquietante, il malvagio anche, dimensioni che nell’esperienza adulta sono affrontate con maggiore misura e integrazione, ma spesso anche sottoposte ad una (pseudo)pacificante opera di rimozione. Si tratta di universi che hanno un valore educativo per i nostri ragazzi, ma lo possono avere allora anche per noi: il nostro rischio di adulti è accomodarci nella rimozione dell’ambivalenza, della radicalità, delle voragini.

I personaggi “interessanti”

Quello che propongo è un lavoro con poche ma importanti coordinate, che si può proporre in gruppi educativi o di cura, e al limite anche in contesti di lavoro individuale.

La consegna consiste nel chiedere ai ragazzi di individuare un personaggio fantastico presente in un fumetto, un film, una serie, un libro a cui in qualche modo sono legati; deve essere una figura che ritengono interessante, che sollecita questioni su cui riflettere. Il suo ruolo nella storia può essere di protagonista o antagonista, o anche essere un personaggio secondario. Da notare che la richiesta non è di individuare “un personaggio che ti rappresenti” ma che è “interessante”. Non che il primo tipo di consegna non sia da utilizzare, ma il secondo nella mia esperienza è sempre stato più generativo: apre, conferisce ai ragazzi l’opzione di dichiarare o meno di identificarsi in lui, lascia loro la possibilità di proteggersi, e anche di portare figure in cui non sentono di rispecchiarsi, ma li stimolano su particolari questioni, dilemmi, domande.

Negli anni, attraverso questa attività, ho incontrato con loro centinaia di personaggi, alcuni molto famosi, altri di nicchia, tanti di cui non avevo mai sentito parlare; in diversi casi si sono aperte riflessioni profonde, sguardi nuovi noi stessi e sull’epoca che abitiamo, temi e stimoli che sono stati poi portati avanti al di là dei confini della specifica attività.

La scelta personaggio

Di solito avvio il lavoro con un’immaginazione guidata: un sottofondo musicale evocativo contribuisce a costruire l’atmosfera (utilizzo principalmente una selezione di colonne sonore di film fantasy..) stimolo i ragazzi a rievocare i fumetti, gli anime, le serie, i film che sono stati significativi per loro, in questo momento della vita o in passato, e di focalizzarsi sui personaggi che sono rimasti più vividi nella memoria. Chiedo quindi di sceglierne uno che per qualche ragione ritengono significativo, che può essere utile portare nel contesto del gruppo per aprire riflessioni..

Quando tutti hanno individuato il proprio personaggio ci si prende del tempo per esplorarlo, attraverso un lavoro che può essere anche scritto (la richiesta di scrivere aiuta l’adolescente a “stare” nella consegna, lo accompagna ad esplorare evitando la dispersione).

Ecco una possibilità di traccia:
– Scrivi il nome di un personaggio di fiction interessante, significativo, che può aprire riflessioni, o che semplicemente ti ha intrigato
– cerca in rete una sua immagine rappresentativa
– riporta la sua vicenda in poche righe
– prova ad individuare qualche tema, domanda, riflessione che il personaggio di suggerisce
– racconta un aneddoto, una vicenda interessante che vede coinvolto il personaggio e magari solleva qualcuno dei temi che hai individuato
– se è disponibile aggiungi un link video, in cui è possibile assistere alla vicenda di cui hai parlato prima o, in alternativa, qualche altro momento significativo

Non è detto che la consegna sia per tutti chiara fin da subito, si può allora fare qualche esempio: io a seconda dei casi utilizzo personaggi già trattati con altri gruppi o ne porto uno mio.

Le domande

Paulo Freire

il focus dell’attività è concentrarsi sull’emersione delle domande, dei problemi, dei dilemmi che il personaggio porta. E’ molto facile scivolare sul piano inclinato della ricerca di ricette e chiedere subito “cosa ci insegna il personaggio?” “quale messaggio ci dà?” “cosa impariamo dalla sua vicenda?”; non che stimoli del genere siano vietati, o che non possano essere generativi, ma lo sguardo che propongo pone l’attenzione su un altro piano. L’obiettivo è quello di esplicitare, e problematizzare, come ci ha insegnato Paulo Freire, temi importanti per i ragazzi ed esplorarli insieme, senza la fretta di voler arrivare ad avventate conclusioni.

di seguito il racconto di una sessione:

…dopo una breve pausa chiedo chi ha voglia di iniziare la condivisione, introducendoci il suo personaggio.

HARLEY QUEEN

Si propone Valeria che ci vuole parlare della bad girl del film Suicide Squad: Harley Queen.

Ci racconta che era la dottoressa che si prendeva cura di Joker; col tempo si era innamorata di lui al punto che, per dimostrargli quanto lo amava, arriva a cedere alla sua richiesta folle di buttarsi in una vasca piena di acido. Quando ne riemerge si è trasformata, è diventata pazza!, dice Valeria.
Ci aveva fornito il link youtube a quella scena, e la guardiamo insieme. E’ molto forte e spettacolare.

Ci dice che è una scena che la ha colpita molto. Secondo lei la domanda principale su cui tutto ciò fa riflettere è:

E’ giusto per amore fare qualsiasi cosa? Qual’è il limite? Come ci si comporta in una situazione di amore distruttivo?

Emerge così dai ragazzi il concetto di “amore tossico”. Io chiedo loro se volevano provare a inventare qualche esempio per indagare meglio questo fenomeno: “E’ difficile inventare”, dice Sara, “è quando sei così preso da una persona che per lui faresti ogni cosa, anche se non è da te, anche se a volte ti fa stare male e non ti senti più te stessa”. Valeria sottolinea quanto sia difficile uscirne, perché si vive scissi tra il desiderio di stare con l’altro e la sofferenza che comporta, che invece “farebbe scappare lontano”.
Alessandro ipotizza che in questi casi possa essere utile parlarne con gli amici, “…non è facile, sono cose private, ci si vergogna” incalza Alberto, “e poi gli adulti no, non vanno coinvolti, che rischiano di intromettersi e fare ancora più casino”. Io aggiungo che forse, tenendo conto di quanto dice Alessandro, in generale è importante coinvolgere qualcuno di cui ci si fida.
Il tema è molto ampio, non lo si può liquidare facilmente, me lo annoto, troveremo insieme il modo migliore per tornarci. Laura, amica di Valeria, non dice nulla ma gli si legge in volto che è molto coinvolta; io immagino, ricordando anche sue mezze frasi buttate lì in altre occasioni, che forse sta vivendo qualcosa di simile, ma tengo per me il pensiero (spoiler: sarà lei a esplicitarlo nel momento finale delle risonanze).

TONY MONTANA

TONY MONTANA

Il personaggio di Alessandro non arriva invece dal mondo fantasy, è Tony Montana, protagonista del film Scarface, interpretato da Al Pacino. Molti compagni fanno cenno di approvazione, un paio dicono di averlo visto più di una volta: “un classico!” affermano.
Alessandro ci racconta che si tratta di un criminale cubano immigrato negli USA che inizia la sua carriera come scagnozzo di un narcotrafficante, fino a diventare il vice capo dell’organizzazione. Inizia a quel punto una guerra di potere con il capo Frank Lopez, che vince uccidendolo. Diventa quindi modo uno dei più importanti leader dello spaccio.
Il momento che mi ha colpito è quando lui è da solo nella vasca da bagno e riflette” ci dice sicuro, “Tony è molto convinto di sé e del suo potere”. La scena è on line e propongo di guardarla subito, si tratta di un breve monologo, Tony Montana è nella sua Jacuzi, pregiata vasca idromassaggio, da lì inveisce:

“Ma vaffanculo! Chi ha costruito tutto questo? Io…. Di chi cazzo ti puoi fidare? Di nessuno! Potete andare tutti al diavolo… io non ho bisogno di nessuno… non mi serve nulla, non mi serve niente”.
Vorrei intervenire subito, prendere le distanze, magari in modo ironico.. è un discorso che faccio proprio fatica ad accogliere, molto “trap”: carico di individualismo, culto del successo, ostentazione del lusso; mi mordo però la lingua e gli chiedo se ha voglia di farci un commento.
Alessandro ci spiega che quello che gli piace di quella scena è l’autonomia, la fierezza di Tony Montana di avercela fatta da solo. “…anch’io sono molto autonomo” ci dice dopo un momento di silenzio riflessivo, “ho dovuto esserlo, fin da quando ero piccolo nella mia famiglia c’erano casini e dovevi per forza sbrigartela da solo, mio padre era sempre occupato. Anche ora me la sbrigo da solo, ancora di più anzi, faccio qualche lavoretto per non chiedere niente ai miei… Sono orgoglioso di questo!”.
Usa proprio la parola “orgoglioso”: ecco che cosa ci teneva a raccontarci, bisognava dargli (e darci) tempo.
Molti compagni annuiscono. Il desiderio di autonomia è sempre emerso in modo molto deciso all’Anno Unico, è una tensione caratteristica dell’adolescenza ma ancora di più di questi ragazzi per i quali prendere materialmente le distanze da contesti famigliari faticosi è spesso un’urgenza.

Ci segniamo le domande:
Cosa vuol dire essere autonomo? Come si può esserlo oggi in un mondo così precario?

JOKER

Ora tocca ad Alberto, che ci parla di Joker. “È un personaggio criminale travestito da clown” aveva scritto di lui “è diventato quello che è cadendo in un fiume pieno di rifiuti chimici, e uscendo da questo fiume si trasforma in Joker” (il riferimento è al film di Todd Philips del 2019) “secondo me fa riflettere sulla vendetta”.
Alberto ci parla del desiderio di vendetta e rivalsa che abita questo personaggio, un sentimento che “accende” molto la sensibilità del gruppo, e che trova risonanze con altri personaggi: Riccardo osserva che in fondo anche il suo acerrimo nemico Batman è animato dallo stesso sentimento, che lui combatte i criminali con l’atteggiamento di chi deve continuare a vendicarsi di un trauma subito, dopo che proprio un malvivente ha ucciso i suoi genitori. In un intreccio di voci il gruppo ipotizza quindi che Batman e Joker non siano poi così tanto diversi: “la vendetta è un’energia folle che permette a entrambi di andare avanti!” aggiunge qualcuno con enfasi. Maria, psicologa e collega formatrice che in quel momento era in aula con me, valorizza l’intuizione, perfettamente in linea con la teoria psi: “E’ proprio così… lo dicono anche i libroni di psicologia, che cosa raffinata che avete portato.. la vendetta è una modalità per relazionarsi con la sofferenza, per vincere l’impotenza, che, pur non risolvendo la situazione problematica conferisce all’individuo la sensazione di reagire“. I ragazzi sono molto attenti.

A proposito di convergenze tra Batman e Joker a me in quel momento viene in mente la scena dell’interrogatorio nel film il Cavaliere oscuro di Christopher Nolan, in cui questi punti di contatto tra il super-eroe e il suo acerrimo nemico si esplicitano in un dialogo memorabile. Propongo di vedercelo insieme.

Al termine della visione Giulio interviene con un’affermazione che non lascia spazio a repliche, e sorprende per acutezza “è vero che sono sono simili, ma Joker è sicuramente più consapevole di Batman!”, ci dice. “Le persone danneggiate sono pericolose quando sono sole” interviene Andrea, in un escalation di perle di saggezza, “il dolore non è sempre nelle lacrime, a volte è presente anche in un sorriso” aggiunge Emanuele. Mi scrivo tutto, non mi aspettavo questa intensità in particolare da parte di alcuni di loro, spesso avidi di contributi. Il tema li ha toccati molto.

Chiudiamo su Joker annotandoci tante domande, tra cui:

Cos’è la vendetta? C’è qualcosa di alternativo per reggere la sofferenza? C’è un modo per evitare di caderci?

OBITO UCHIHA

Il personaggio di Giulio è Obito Uchiha, della celeberrima serie anime Naruto.
Ho la sua maschera nella mia collezione, l’ho acquistata diversi anni fa, prima di conoscerne la storia, mi ha “chiamato” da una bancarella a Città del Messico; mi aveva affascinato quel suo essere inquietante: la spirale su fondo arancione e un occhio solo, ma non sapevo avesse a che fare con un anime e nascondesse una storia così interessante Giulio ci spiega che Obito era un ragazzo che, pur avendo vissuto un’infanzia difficile, senza genitori, era molto generoso e in gamba; dopo una serie di vicissitudini però si trasfigurerà arrivando a diventare un villain, un “cattivo” tra i più temibili. “Ti fa riflettere molto sull’odio e su cosa può generare la vendetta”, afferma.
La scena che ritiene più importante è quando Obito assiste all’uccisione della ragazza di cui era innamorato da parte di un amico con cui c’era stato un forte legame. Ci riferisce che lo hanno colpito due momenti in particolare di questa scena:
– quando “impazzisce di rabbia e di dolore” e arriva a fare una strage uccidendo chiunque trovi intorno a sé.
– quando in una pozza di sangue prende tra le mani il corpo di lei, l’immensa sofferenza che sta provando.

Da quel momento Obito aderirà a progetti malvagi, mostrando gelido distacco verso il mondo. E’ interessante come nell’anime si espliciti che il particolare potere sovrannaturale che lo aiuta nel combattimento, il cosiddetto sharingan, poteva raggiungere il suo apice solo se chi lo possiede ha vissuto il trauma della perdita di chi ama. Più Obito soffriva, più cresceva la sua potenza, più si rendeva propenso all’avversione e all’odio. Si tratta sicuramente di un tema molto sentito da alcuni nel gruppo, in particolare quelli maggiormente “feriti” che in seguito hanno intrapreso percorsi di devianza, o di rabbiosa chiusura.

Nel sistema narrativo dell’anime Obito si pone come una sorta di doppio dell’eroe della serie Naruto, e rappresenta cosa il protagonista sarebbe potuto diventare se avesse “ceduto al lato oscuro”; il bambino generoso diventato super-cattivo solo in punto di morte si accorgerà che se fosse riuscito a reggere il dolore della perdita la sua vita avrebbe potuto prendere una direzione differente. La serie animata sottolinea come è proprio la capacità di reggere e rielaborare il dolore il discrimine tra la fioritura e la perdizione
Le domande che in conclusione ci siamo posti sono molto simili a quelle emerse per Joker:

Si può sopravvivere ad un dolore troppo grande? Come si fa? Come si rielabora il dolore?Come si fa a non cadere nel lato oscuro?

OBI-WAN KENOBI

Il personaggio scelto da Renato è Obi-Wan Kenobi, figura fondamentale nei film storici di Star Wars, e protagonista di una serie uscita recentemente per DisneyPlus.
In particolare Renato fa riferimento alla trilogia degli eposidi I,II e III, in cui Obi-Wan è il mentore del giovane Anakin, che infine si ribellerà a lui per passare al “lato oscuro” (…e sotto il nuovo nome di Darth Vader sarà centrale nella trilogia classica). Ci racconta che lo ha colpito molto il fatto che il suo allievo, a cui voleva molto bene e aveva insegnato tanto, cedendo si è ribellato contro di lui, fino a cercare di ucciderlo, e diventare una minaccia poi per l’universo intero.
Non abbiamo trovato la scena in streaming, ma l’immagine che aveva inviato Renato ritraeva in modo molto evocativo quel momento. Gli chiedo di definire con alcune parole chiave i due personaggi e il rapporto che li lega, e in seguito nominare le emozioni che li stavano attraversando. Io scrivo direttamente sulla lavagna su cui era proiettata la foto. Mi dice che Anakin è il prescelto, è tattico, è vulnerabile al lato oscuro, lo caratterizza la tristezza e la sofferenza; Obi One invece è altruista, intelligente, potente nel combattimento con la spada laser. La tensione tra di loro è caratterizzata dalla rottura di una forte amicizia, dal tradimento. Il titolo che Riccardo dà a questa immagine è “Resistenza al male

Attraverso il personaggio di Obi-One Kenobi torna il tema del tradimento. Renato dichiara che è meglio dare meno fiducia possibile alle persone, per ridurre la possibilità di incorrere nella sofferenza del tradimento. Molti annuiscono, è un discorso che mi capita di sentire sempre più spesso dagli adolescenti “quando ero più piccolo davo più fiducia, ora ho capito che è più intelligente non farlo!”. Io azzardo che qualunque relazione è passibile di sofferenza, e si espone al rischio del tradimento, mettersi in sicurezza vuol dire negarsi anche la possibilità della gioia, dell’esperienza vitale. I ragazzi ascoltano con attenzione, sono perplessi e qualcuno incuriosito, per qualcuno sembra che sia la prima volta che si pongono da un punto di vista simile.

Un altro tema che Renato ci tiene a evidenziare è quello che definisce “del bene e del male”; “quanto siamo fragili nel resistere al male! esclama. Ci spiega che Anakin è il prescelto, è molto potente ma anche fragile, è stato tentato dal lato oscuro, e la sua volontà di potere ha prevalso sul bene. E’ proprio su questo che vuole concentrare le proprie domande aperte, la prima rieccheggia la questione portata da Giulio con Obito

Come si resiste al lato oscuro?

mentre nella seconda allarga ulteriormente con una provocazione che smuove molto il gruppo:

Sì… però… cos’è il male? Cos’è il bene?

MEREDITH GRAY

L’ultimo personaggio è Meredith Gray, della nota serie Gray’s Anatomy. La porta Denise che sì è aggiunta al gruppo in un secondo momento, a sessione iniziata, e per questa ragione non aveva scritto niente. Le propongo allora di partire dal video che ci aveva segnalato. Lo guardiamo in silenzio: 4 minuti emotivamente molto forti (è davvero forte, guardatelo se siete in mood che può reggerlo…)

Siamo in ospedale, la protagonista è al capezzale di Derek, il suo compagno, che aveva appena esalato l’ultimo respiro. La musica d’atmosfera sottolinea l’intensità del momento, gli unici movimenti sono quelli dell’infermiera che spegne le macchine a cui era attaccato. Si inseriscono immagini flashback di momenti felici della coppia, per poi tornare al presente quando la protagonista si rivolge al suo uomo esamine con poche e significative parole “E’ tutto ok, puoi andare”. Denise al termine della visione sottolineerà che sono proprio queste parole a colpirla di più. La ragazza non aggiunge altro, è strano vederla così presa, commossa, lei “bad girl” che si mostra sempre distaccata ai limiti della strafottenza.
Romperò io il silenzio aggiungendo che forse da quel momento inizia il suo sforzo per accettare la sua morte, ne riconosce la tragica realtà, e che a me ha colpito quando poco dopo l’infermiera, per poter proseguire con le procedure del caso, le chiede “E’ pronta?” e lei risponde “no, ma continui”. Quel “no, ma continui” forse sottolinea che non si è mai pronti ad accettare situazioni così dolorose, però si può riconoscere la sofferenza e affrontarla, come sta facendo Meredith. Non riesco ad aggiungere altro. Le domande che ci scriviamo sono

Cosa vuol dire morire? Come si affronta la morte di una persona cara?

In questo prezioso e faticoso contributo che ci ha donato Denise si ha avuto l’occasione di tematizzare uno dei principali spettri della contemporaneità, quello della morte. Se nel passato era intesa come naturale parte della vita, e il contatto con la fine, di esseri umani e animali, era esperienza del quotidiano, oggi si tende sempre più a rimuoverla, a nasconderla, è qualcosa di cui è sconveniente parlare, da cui tenere al riparo i più piccoli. Nella società del “progresso infinito” la morte non può essere concepita, è un un bug, un “errore di sistema” da riparare, annullare, e se non ci riusciamo meglio far finta di non vederla. Nel tempo del felicismo (o del “felicismo tossico”) la morte non ha cittadinanza. Eppure ritorna ad agitare sempre più forte i sonni di noi che abbiamo perso gli strumenti per relazionarci con lei.

LA CONDIVISIONE RISONANZE

Al termine di un lavoro come questo può essere utile dedicare uno spazio alle risonanze. La consegna è semplice:

C’è un altro personaggio, oltre il vostro, che per qualsiasi ragione vi è risuonato? Che ha toccato temi interessanti anche per voi?

Nella sessione riportata, ad esempio, il giro di risonanze ha permesso a Laura, per sua scelta, di esplicitare che nella sua vita privata sta vivendo qualcosa riconducibile al tema proposto da Valeria con il personaggio di Harley Queen. Ha condiviso con il gruppo che sta vivendo un momento difficile nella relazione con il suo ragazzo, che definisce “un po’ tossica”. Ci ha raccontato quanto era legata a lui, ma che sentiva fosse il tempo di prendere le distanze perché anche la sofferenza era tanta; non sapeva però se ce l’avrebbe fatta, se era pronta, se avesse trovato la forza. Laura era molto coinvolta emotivamente, conoscendola non mi sarei aspettato che avrebbe condiviso qualcosa di così personale con i compagni. E’ stato un momento importante per lei e per i loro: con Valeria si è instaurata subito una connessione, e in generale si sono percepiti fiducia reciproca, attenzione, ascolto; è stato un ulteriore passo di crescita per il gruppo. Inoltre da quel momento si è potuto approfondire il dialogo personale tra lei e la tutor (presente in quel momento in aula) permettendo un lavoro affiancamento e accompagnamento più aperto e generativo, anche su quel delicato tema.

Le risonanze possono creare “fili” tra componenti del gruppo generando inedite “micro-comunità di sentire”, oppure imporsi nella totalità del gruppo. Nella sessione appena riportata ad esempio è emersa una diffusa risonanza per i temi portati dal personaggio di Joker: la sofferenza intensa che porta a trasfigurarsi e assumere comportamenti distruttivi; il fatto che dietro ad atteggiamenti negativi spesso ci sono storie difficili; l’importanza di essere consapevoli di sé come primo passo per poter affrontare le proprie sofferenze.

Come si è già detto è molto importante essere attenti ai temi che in ogni gruppo emergono; si tratta della bussola che il formatore ha a disposizione per orientare e progettare un lavoro di senso con i ragazzi.

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