Tornando a lavorare con i ragazzi: appunti poetici

Una poesia collettiva per prenderci cura di noi che di lavoro ci prendiamo cura. Dare forma in versi ai vissuti della ripartenza

Il testo che segue lo abbiamo scritto durante un laboratorio on line di formazione formatori (do you know AlieniOnLine?…), riflettendo sulle potenzialità della poesia nel lavoro a distanza con gli adolescenti.

Nasce come esercitazione, come gioco leggero per esploratori di nuove possibilità.

un pad, un foglio di testo open source, etico e sottile, e le nostre parole

Rileggendolo ho pensato che fosse importante pubblicarlo.
In mezzo a tutto il vociare di questi giorni sui giovani, sulla scuola, sugli insegnanti, sugli educatori, noi operatori in prima linea forse abbiamo più bisogno di silenzio e parole incarnate. Abbiamo bisogno di fare un passo a lato, guardare dentro e guardare oltre, di visioni, di ri-connetterci con noi stessi e tra di noi, prenderci cura di noi.

Se qualcuno vuole ‘sentire’ come stiamo vivendo questi giorni, quelli che seguono sono i nostri appunti in versi. 
Se qualcuno vuole proseguire questa poesia collettiva, ci mandi le sue immagini, le sue visioni, le sue metafore. 

Questa ripartenza – poesia collettiva

Questa ri-partenza è grigio nebbia con fasci di luce
è pongo plasmabile
montagne alte che ti attraggono e ti spaventano
scalpitare allo start con i pesi alle caviglie
sono sereno sapendo che le nuvole sono veloci a coprire il cielo,
e la tempesta torna in fretta
tengo stretto il manubrio di gomma rigida
un ritmo difficile da ballarci sopra
ci sono

Parto giallo cammino scalzo
con i piedi al caldo
non c’è più il deserto in paese
ma la sabbia è rimasta
affondo
lascio tracce
guardo le scie
sento l’umidità della tempesta
sta arrivando?
ruvida
mi riempie occhi e orecchie
di suoni morbidi
di battiti sordi

Settembre in bianco e nero,
una fotografia da ricolorare,
un ritorno lento alla velocità,
un passo verso un futuro meno tracciato,
carico di previsioni
senza un cielo azzurro,
toccando l’incertezza ma con la speranza
che sapremo suonare come un’orchestra.

Lo stridìo assordante della metro.
Quando fa caldo e ci sono i finestrini abbassati
ma qualche bocchettone dell’aria condizionata ancora funziona
e ti congela.
Quello stridìo,
che non sai se la metro resta sui binario deraglia.

la ri-partenza è funambolica….
il tempo arricciato e allungato si snoda perdendo i suoi soliti confini.
Mi sento grigia e gialla a secondo dell’aria che sento.
Vorrei più silenzio e meno folla di rumori superficiali,
più silenzio per sentire e capire

Questa partenza è di un bianco sporco
di plastica dura, un piccolo pezzo di Lego
correre sotto la pioggia
è cumuli, nembi, cirri,
strati da cui arriva un tuono lontano e il grido di un falco

Questa ri-partenza
è un vetro appannato su cui passare le dita e vedere attraverso.
La pioggia ci batte
sopra, appoggi la mano per sentirene le vibrazioni,
trema la mano,
trema il corpo,…..sarò pronto?

Questa ri-partenza
è tinta di un pallido verde come una tenue speranza,
è un legno sospinto a riva dopo un lungo naufragio,
è un vecchia foto di amici che ora si ritrovano cambiati,
è uscire da schemi ripetuti,
è un cielo rosa in un tramonto estivo
vellutato, morbido, che accompagna
un sussurro: “è vita”.

Questa partenza è scricchiolante di foglia
vola nel vento leggero
cadrà?
si alzerà?
la accompagno con lo sguardo
Riparto
verde come quel prato al pascolo
Rimbalzo come una pallina di gomma dentro un oceano dove non tocco.
Questa partenza è rossiccia, il cielo della sera.
È dura e fragile, un righello che si piega.
Le nuvole coprono tutto.
Camminare veloce sui tacchi, e piove.
Tocco il terreno ed è bagnato e caldo,
sento il rumore delle gocce di pioggia che cadono. 

Questa ripartenza
Cangiante e opaca
Un filo sottile,
uno zaino pieno
Saltare da un sasso all’altro, scivolosi, sul torrente
Resto asciutta
Ingannevolmente tiepida, serena a tratti,
con nuvole sospette all’orizzonte
Che possono cambiare fronte
Un prato invitante, una strada in pianura, montagne aspre vicine
Prendere un respiro, allacciare bene le scarpe comode

Questa ripartenza è il tiepido arancio è costanza
è la pista nel deserto, motori rombanti
temporali devastanti
fresco e morbido gelato, da mangiare con le mani
violini ritmati, colpi sferrati, cori vibrati

la mia ripartenza è fluida e malleabile
è magma incandescente
è salita sotto nuvole e vento
è un filo sospeso sopra punti di domanda
è rosso fuoco, ma anche giallo sole
è alternanza tra rulli di tamburi e flauti leggeri
come l’erba morbida e fragile

la (ri)partenzaè a righe bianche e nere
elastico che si tende ma non si spezza
è maionese in creazione, vortice necessario per non impazzire
Questa partenza è giallo intenso come il sole
fuoco che abbaglia e brucia
attrae e fa paura
mi avvicino e mi allontano
cerco ombra e fresco nel caldo torrido
silenzio assordante

Questa ripartenza la voglio giallo sole ma è resistente come l’acciaio…
le nuvole vanno e vengono mentre cammino in salita.
Forse pioverà ma sento il calore di un suono amico in lontananza,
una tromba che suona

La mia ripartenza
fumo negli occhi
la finestra si spalanca e salto fuori
il vento che spazza
in girostare
cercare vie nuove
tra il rumore di fondo
freddo
e il silenzio del tuo sguardo.
Settembre,
è un vivido magenta che incastra il pensiero,
è argilla nelle mani,
è ondeggiare in mezzo al mare,
ed è ventoso,
chiudo gli occhi e  mi lascio cullare da una musica dolce

Questa ripartenza è sfuocata
Intravedo opportunità 
Percepisco timori, paure. 
Allungo la mano
Incontro fumo
Mi faccio strada tra la nebbia 
Avanzo titubante nell’ignoto
Dei giorni che verranno 
Rosso, di Ferrocome una madonna che scavanella pioggia
e sente un colpo
che crea una musica.
Bella Musica!

Questa partenza
è grigio chiaro,
è nuvole che si rincorrono tra spiragli di cielo
è il brusio delle onde, un ritmo sempre pronto a cambiare
so galleggiare,
(ri)imparo a nuotare
La bici cade in un sorriso sbucciato
il solletico dell’erba alta sul palmo
che gira e piove
nel silenzio infranto dall’ape
e l’attesa del suo lavoro d’oro al mattino
con i progetti freschi spalmati di burro

R-esistere hip-hop!

Un MIX evocativo per scoprire il valore pedagogico della cultura nata nel Bronx. Il testo completo della performance R-ESISTERE HIP-HOP di Skrim, Mastino e DJ Vigor.

Il testo è costruito attraverso un cut-up di citazioni riportate nel libro Pedagogia hip-hop. Gioco, esperienza, resistenza. Nasce come presentazione un pò originale del volume e si trasforma con il tempo in una vera e propria performance di spoken word, rap e live video mixing (qui se vuoi saperne più). Un mix evocativo per cominciare a riflettere sulle moltiplici potenzialità generative dell’hip-hop a livello personale e sociale.

THE BRONX 70s

A metà degli anni settanta
il reddito medio pro capite nel bronx era di 2.430 dollari,
appena la metà della media di New York
e il 40% della media nazionale.
Il tasso ufficiale di disoccupazione giovanile toccò il 60%.
I funzionari dei servizi sociali sostenevano però
che la vera cifra era più vicina all’80%..
(Jeff Chang)

Era un’epoca di divertimento,
eravamo un gruppo di adolescenti vivaci
che stavano diventando adulti in un periodo piuttosto turbolento.
La violenza, le gang e la droga infestavano le nostre strade.
Ma come diceva mia nonna, non c’è male che accade
da cui non possa nascere qualcosa di buono.
Il Bronx era disprezzato datutti,
compreso il presidente Carter.
Era un quartiere bruciato e abbandonato.
Non avevamo altro che noi stessi e la nostra cultura.
Non avremmo potuto fare altro che condividerla.
Da tutto quel male nacque qualcosa di così positivo
da contaminare il mondo intero.
(Joe Conzo)

Siamo gli avanzi nella sporca cucina
i resti del banchetto di ieri
frattaglie di cui ancora t’ingozzi
siamo quei bambini lisi, narcisi
i fanciulli della crisi
bighellonando nell’attesa d’appassire senza nulla a cui ambire
affiliamo l’arte di giocare con ciò che ci resta
finchè esplodiamo con la beffa di una festa non richiesta
(Skrim)

I dj pionieri delle feste in strada attaccando improbabili giradischi
e impianti audio all’alimentazione dei semafori
hanno modificato l’applicazione del divieto di transito in centro,
creando spazi comunitari dove non ce n’erano.
In quel luogo si aggregava tutto il quartiere:
giovani, famiglie, anziani e persino membri di diverse gang.
Era un meraviglioso posto d’incontro per tutta la comunità.
(Trac2)

Nel Bronx ci si mise a giocare.
E come ogni gioco che si rispetti non c’era un piano,
non c’era una finalità sociale o pedagogica,
non c’era nessun educatore o animatore a “far giocare”.
Si cominciò a giocare solo per il gusto di giocare.
Si giocava liberi, senza nulla da perdere,
con la voglia di trasformare e di essere trasformati.
Si imponeva un gioco che era impulso di vita,
pronto ad esprimere tutta la sua potenza, la sua radicalità.
(Davide Fant)

Fuochi di bivacco tra le scorie radioattive
si canta gioia ancora qui sull’orlo della fine
s’intingono versi nel grembo di un tramonto
di un’epoca che implora di riavere il suo racconto
asseta l’attesa nel deserto del reale
resa a questo bieco sfumare sarà
sfiancata eternità,
sbiadita umanità
canto del cigno che risplende a 10.000 watt
(Skrim)

La nostra volontà di sopravvivere
giocosa e canaglia
eccentrica e libera
cruda e inferocita
potevamo muovere montagne
e nazioni
e fondoschiena
(Walidah Imarisha)

BREAKING

I due tipi di colore fecero qualche passo in piedi
per poi andare a terra con un velocissimo gioco di gambe.
In risposta il ragazzo portoricano, Vinny, iniziò a fare toprocking,
poi dei movimenti che potevano rimandare al mambo
per buttarsi in seguito a terra.
Nei dieci minuti di durata della battle
la sfida
Vinny ebbe la meglio su entrambi i ragazzi di colore,
che mostrarono rispetto per il vincitore e gli strinsero la mano.
A quel punto il ragazzo portoricano se ne andò come se niente fosse successo…
La cosa mi intrigò parecchio!
(Trac2)

L’atmosfera mentale in cui ha luogo la solennità
è quella dell’onore,
dello sfoggio,
della millanetria,
della sfida,
si vive nel mondo dell’orgoglio tribale e cavalleresco,
del sogno eroico,
mondo in cui valgono bei nomi e blasoni,
e schiere di antenati.
Non è il mondo delle preoccupazioni per l’esistenza,
dei calcoli d’interesse,
dell’acquisto di cose utili.
(Huzinga)

Combattendo la colonizzazione del tempo
e lo spossessamento della propria vita
cercando un nuovo potere del corpo sullo spazio,
uno spazio che non solamente è lo spazio comune
ma un altro mondo,
questo centro è il luogo della creazione
(Hugues Bazin)

Sono forze contrapposte poste in un solo equilibrio
che danno fuoco al suolo quando stride per l’attrito
al ritmo della vita che si muove
ed è pulsazione come il battito del cuore
scorre dentro ad ogni sentimento
come sangue nelle vene è un movimento circolare come il tempo
è naturale come respirare
la spinta inversa a quella di un oggetto quando cade
invade orecchie testa scendendo sul collo
si snodano dinamiche annidate nel midollo
arrivano alle ossa, muscoli, tendini
muovendoli in simbiosi con la musica
è lei che ne ha le redini e dirige la rigidità in giro per il flusso
scorrevole impulso
leader indiscusso la corrente che rende possibile
prendere il tuo corpo e renderlo tagliente
Non so dirti esattamente cos’è che si mette moto in me,
segue l’accento del break fino a fondere
le note con le articolazioni del corpo
si sciolgono
quando la puntina è nel solco
(Musteeno)

WRITING

In fondo il bambino che gioca,
il puer ludens
non è proprio l’infaticabile costruttore di uno spazio intermedio
in cui il mondo viene rifatto, dislocato, simulato e rinnovato?
interpretato e sovvertito in modo da renderlo sopportabile, abitabile, anche nell’esercizio ripetuto delle crudeltà necessarie
nella sofferenza delle sconfitte e nell’euforia della lotta?
(Francesca Antonacci)

Ho tirato fuori i loop e i goccioloni,
poi writers come Stave 2 e SuperMug presero gli stili Soft Loop e Arrow,
aggiunsero altri loop,
presero le gocce e le trasformarono in spruzzi.
Checker 170 loopava tutte le lettere,
ancora oggi non riesci a leggere certi suoi pezzi.
John 150 faceva le lettere soft e wild con certi cambiamenti.
Io ho squadrato le mie lettere softie e ho fatto le lettere soft block,
che usavo in diversi stili.
Iniziai a capire il modo di creare un concetto o una lettera partendo da un altro.
Come i loop.
Tondi.
Rompo il loop a T, o lo faccio più triangolare.
Posso limitarlo a un lato solo.
Hi-C lo riprende, facendolo da tutte due le parti,
lo loopa di nuovo.
Vedo che lo si può squadrare o incurvare.
Così sono uscite le lettere meccaniche,
che vengono dalle lettere soft wild
(Phase II)

Erano militarmente strutturati per essere illeggibili,
erano armati,
noi non volevamo che la società vedesse
che stavamo buttando tutte le lettere all’aria.
Graffiti era la parola che voi ci avete appioppato.
Panzerismo iconoclasta l’unica definizione per spiegare
quello che abbiamo fatto sui treni della subway.
E’ questa la parola che dovrebbe essere usata.
Poi siamo arrivati al futurismo,
ai carri armati,
alle lettere con le quali ci siamo armati.
Da ornamento ad armamento.
(Rammellzee)

Skrim Def Dee come ai tempi del liceo
reo
niente galateo
a piedi sera tardi passi accorti come lince
nella sconcia pancia di provincia,
prima tag
ode al nome mio,
5 lettere sul muro
esistevo io
esistevo io
frammentato inquieto come wild style
ancora qui si vive
senza alternative
(Skrim)

MCing

Nel buio,
colto dal timore,
un bambino cerca riparo canticchiando.
Cammina,
si ferma al ritmo della sua canzone.
Sperduto si mette al sicuro,
si orienta come può con la sua canzoncina.
Essa è come l’abbozzo,
nel caos,
di un centro stabile e calmo,
stabilizzante e calmante.
Può accadere che mentre canta il bambino si metta a saltare
acceleri o rallenti la sua andatura
ma la canzone stessa è già un salto:
salta dal caos ad un principio d’ordine in quel caos,
che ancora rischia di sgretolarsi in ogni istante.
C’è sempre una sonorità nel filo di Arianna.
O nel canto di Orfeo.
(Gilles Deleuze, Félix Guattari)

Chiedi a lei – sacra scrittura
E’ lei che mi protegge sempre
Ogni volta che appare il buio
Fa parte di me
Mi ascolta quando non c’è scampo
In silenzio
chiede solo rispetto in cambio
(Musteeno)

DJING

La musica è soundscape:
panorama sonoro multiplo che miscela le diaspore timbriche,
strumentali, musicali,
secondo moduli non più legati alla mitologia delle radici (roots),
bensì all’attraversamento degli itinerari (routes).
Il transito dalle roots alle routes sente la svolta dislocante del sincretismo tecnologico
Il syn-tech è dislocante e diasporico.
senza termine, interminabile, inafferrabile.
Le diaspore syn-tech gemmano transculture.
I performers di nuovi soundscapes sono sperimentatori
che anticipano le nuove sensibilità non solo all’interno dei territori musicali,
ma anche al di fuori,
nelle de-territorializzazioni metropolitane:
le interzone dell’ibrido, del sincretico.
(Massimo Canevacci)

Sapevo cos’era perché studiavo elettronica a scuola.
Sapevo che nell’apparecchio c’era un interruttore a tre posizioni.
Quando è al centro la musica non si sente,
quando è a sinistra si ascolta il piatto di sinistra,
e quando è a destra il piatto di destra.
Andai in un magazzino in centro per cercare quell’interruttore a tre posizioni,
della colla per attaccarlo al mixer,
un amplificatore supplementare e una cuffia.
Saldai tutti i collegamenti e mi misi a saltare per la gioia,
ce l’avevo fatta! Ce l’avevo fatta!
(Grandmaster Flash)

Questa è la storia di come ho trovato il mio dj interiore
di come ho capito il concetto di consapevolezza campionata
in contrasto con la polizia della cultura autentica
che mi ha sbattuto a terra picchiandomi,
ripetendo: sei dei nostri, sei sei nostri?
noi campioniamo, mescoliamo,
sfumiamo una nell’altra le esperienze
remixando la definizione di sè
(Robert Karimi)

Il cambiamento di forma richiede la fluidità dei passaggi,
la capacità di mantenere e di perdere,
il rischio generoso e la prudenza del limite.
La razionalità fredda del calcolo che ha guidato l’esperienza moderna dell’occidente mal si adatta a questa esigenza.
Ci sono richieste nuove qualità
che stiamo appena cominciando ad apprendere.
Per passare da una forma all’altra senza esplodere,
per tenere insieme frammenti dell’imprevedibile,
sono richieste capacità di intuizione e di immaginazione
da sempre rinchiuse nei territori segregati del sogno,
del gioco, dell’arte, della follia.
Non c’è metamorfosi senza perdita e senza visione,
si può cambiare forma solo se si è disposti
a perdersi,
a cambiare
ad immaginare
(Alberto Melucci)

Una notte in biblioteca.

Re-inventare uno spazio pubblico e sperimentare l’intensità della poesia, attraverso un’ “occupazione” notturna, scene teatrali e l’intimità del buio

Le idee in pillole:
1 – “Occupare” un luogo pubblico per incantarlo, creare un temporaneo spazio di magia in cui :
– le relazioni nel gruppo sono più intense
– le relazioni con lo spazio si ristrutturano
– Un tema di apprendimento come la poesia può essere affrontato nel setting che più gli si addice, quello notturno
2 – Lavorare sulla poesia in una prospettiva immaginale
3 – Proporre cicli di codifica-decodifica trasformando la poesia in scena teatrale attraverso l’utilizzo di oggetti mediatori quali teli e maschere

Da un punto di vista metodologico:
mixare approccio rave/TAZ, pedagogia immaginale, psicodramma con le maschere (in particolare nella declinazione sviluppata da Mario Buchbinder), apprendimento esperienziale

notte in biblioteca (video di Filippo Corbetta)

DIARIO DELL’ESPERIENZA:

L’intento era presentare ai ragazzi la poesia in tutta la sua forza, scrollarle di dosso quella patina di cui spesso è ricoperta a scuola, che la disarma, la rende sterile. E poi, come richiedeva il progetto in cui l’attività era inserita, bisognava aiutarli a riavvincinarsi, in modo inedito, ai locali della biblioteca.

Ci voleva un’azione forte, destabilizzante.

Perchè in biblioteca non facciamo un’irruzione a notte fonda? Entramoci avvolti dall’oscurità, intrufoliamoci a leggere, scrivere, dare vita ai versi!”

Mi ricordo le facce stranite dei colleghi quando ho proposto l’idea al tavolo di coordinamento del progetto Biblio.net, facce che presto si sono fatte complici. Ilaria DeLorenzo, compagna di mille scorribande educative, ci è stata subito, per lei era un invito a nozze.

E così, dopo un pomeriggio passato con i ragazzi a parlare di poetry slam e comporre testi di spoken word, una cena e una serata insieme, allo scoccare della mezzanotte ci siamo avventurati tra gli scaffali pieni di libri. Era completamente buio, tranne la luce dei lumini che io e Ilaria avevamo posizionato ovunque (tanto che più di una volta la direttrice ci ha chiamato per assicurarsi che non scattasse l’allarme anti-incendio..). A terra avevamo sparso testi di poesie e canzoni. Nei locali risuonava una musica un pò magica che non si capiva bene da dove arrivasse (tutta la prima parte della conduzione l’ho passata ad una consolle allestita su un soppalco della biblioteca, divertendomi a mixare colonne sonore, tappeti di musica ambient, classica contemporanea ed elettronica cercando di costruire – anche a livello sonoro – l’atmosfera giusta per il lavoro).

I ragazzi sono hanno iniziato la propria esplorazione con una pergamena in mano che riportava la consegna:

“Esplora, Cerca, Leggi – Esplora ancora, Cerca, Leggi

Prenditi il tuo tempo.

Quando avrai trovato una poesia – o la parte di una poesia – che ti risuona, che per ragioni anche imperscrutabili ti chiama, lasciati scegliere da lei.

Cerca allora un luogo propizio per accostarti a lei nella sua dimensione immaginale, affinché tu riesca a captarne il potere simbolico.

Scegli un luogo comodo e accogliente.

Ora leggi e rileggi più e più volte la poesia.

Non giudicarla, non chiederti se è bella, brutta, scritta bene o male,

Se per caso ne conosci l’autore rimuovi tutto ciò che sai.

Affinchè l’esperimento riesca prova ad annullare te stesso e il tuo vissuto, non cercare parti di te e della tua esperienza tra i versi.

Rimani sulle parole, sulle immagini che la poesia ti suggerisce, ti propone, con cui il testo ti pervade.

Focalizzati sulle immagini che la poesia fa scaturire

COSA VEDI?

Annota ogni visione sul tuo blocco”

L’intento era lavorare sul potere immaginale e simbolico della poesia. Per questo eravamo andati, giorni prima, a consultarci con Paolo Mottana, che ci aveva dato qualche prezioso consiglio (se sei incuriosito dalla pedagogia immaginale clicca qui).

E’ iniziata un’esperienza di esplorazione solitaria, di contemplazione e meditazione, di ricerca di visioni. E’ stato un lavoro dello stare, dell’attesa, del silenzio fuori ma soprattutto dentro.

In un secondo momento i ragazzi si sono ri-incontrati, appartati in piccoli gruppi hanno condiviso le visioni.

A questo punto sono comparsi intorno a loro teli e maschere. Utilizzando questi oggetti mediatori ogni gruppo era invitato a dare corpo alle immagini emerse con un breve scena teatrale, in un processo trasformativo di appropriazione e re-invenzione.

clicca qui per sapere qualcosa di più sull’utilizzo delle maschere in contesti formativi

E’ difficile raccontare a parole la bellezza di quello a cui abbiamo assistito poco dopo. Vi lascio alle immagini del video che postato all’inizio dell’articolo che rimangono una, seppur limitativa testimonianza.

Sicuramente è stato un momento che ricorderanno a lungo, una TAZ generativa, un “atto insensato di bellezza” .

Manifesto della pedagogia hip-hop – spoken word version

Qualche tempo fa ho scritto un articolo per Animazione Sociale (lo trovate qui) in cui raccontavo come le discipline artistiche dell’hip-hop non solo possono essere uno strumento educativo (vedi qui) ma, allargando lo sguardo, posso indicare un’attitudine, pedagogica ed esistenziale, per r-esistere in questi tempi inquieti.
In quell’articolo avevo provato a spiegarlo in modo analitico, evidenziando 9 “lezioni” che potevano formare un ipotetico “Manifesto della pedagogia hip-hop”.
Quella che segue è invece la versione “poetry slam” di quel testo.

Con la declamazione di questo pezzo abbiamo spesso chiuso la performance “Crescere hip-hop live” (eccola qui). Buona Lettura.

E’ ormai chiaramente smascherata la truffa
che un pezzo di carta
aprirà le porte del nostro futuro
che se studiamo
sudiamo
accumuliamo titoli
avremo assicurato il dopo
ci proteggeremo dal fuoco
dell’incertezza

è ormai chiaro che qualsiasi progetto lineare
consequenziale
non vale
il tempo impiegato per concepirlo

a noi
non è rimasto che imparare per imparare
per sentirci funzionare
maratoneti di sbattimenti enormi
solo per la vertigine di fare esperienza di noi e del mondo
per l’assenza
la noia
per gioco
per l’urgenza di mettere in ordine il troppo
per ricompensa intrinseca, pulsione libidica

non ci è rimasta che fatica gratuita
per il vezzo di essere di più
il capriccio di rimanere liberi
per l’arroganza di sentirci vivi
per perdita di tempo
per il conforto del senso

In questa tempesta di flussi
in questo continuo accelerare
richiesta di performare
ritaglieremo aree confinate
zone temporaneamente incantate
autoproclameremo eterotopie
spazi dove valgono magie
territori di potenzialità retti da regole altre
ergeremo bordi per non straripare e cornici d’incontro autentico

godendo dell’io ci scopriremo noi
saremo crew, posse, tribù
reti di fiducia, affinità, affettività
piccoli gruppi d’apprendimento tra pari
famiglie non convenzionali
banchetti conviviali

Si è scoperto
che le grandi narrazioni non avevano chiusure all’altezza
finali altrettanto belli
il filo del discorso delle logiche biografiche è in brandelli
ritesseremo trama
il suono del racconto di noi sarà il nostro filo di Arianna
principio d’ordine nel caos
saremo metrica
intrecceremo parole afferrando il ritmo trovando equilibrio per non cadere

saremo griot
cantastorie
la parola sarà viaggio, messaggio, massaggio
protezione, barriera, dimora, cura
giardinieri di miti in questa radura

Sciami di scorie mediatiche ci si sbriciolano addosso
labili incontrollabili flussi di stimoli
tutto
si è riusciti a spezzettare

dichiariamo allora che ognuno di questi frammenti
sia materia del nostro gioco
mattoncini colorati per architetti bambini
saremo dj
mixeremo
ri-mixeremo queste rovine creando nuova musica meticcia
per coreografie che superano le vostre categorie
artigiani della ricombinazione
apprenderemo facendo collage
cut-up,
mash-up
raffineremo l’arte dell’ibrido e del sincretico

saremo migranti che imparano a tenere insieme mondi campionando
tagliando
incollando
sfumando una nell’altra le esperienze
sbloccando il loop dell’eterno presente con un’entrata a strappo
in questo troppo saràsolo questione
di una buona selezione

Dichiariamo
che come abbiamo
trasformato un giradischi in uno strumento musicale
utilizzeremo qualsiasi oggetto tecnologico arrogandoci la libertà di violarne i protocolli d’uso esplorandone le potenzialità
piegandolo alle nostre necessità
al di là
dello scopo per cui è stato concepito
superando la passività indotta
con la fotta
radicale di un bambino

L’unica tecnologia che amiamo è quella dirottata e riappropriata
l’unica tecnologia che amiamo l’abbiamo già smontata
artisti del riciclo
sarti degli scampoli
reality samplers
sempre con disciplina
rovisteremo nelle discariche a estrarre florida materia prima
d.i.y.
in pratica artigiani,
bottegai
lavoro lento di riappropriazione con cura e criterio
micro-economie del desiderio

E torneremo corpo
che avete piegato con quei banchi di prigione frontale
dimenticato davanti ad uno schermo di coscienza sbragata
appiattito in un’immagine photoshoppata di perfezione

ritroveremo un senso ripartendo dai sensi
riconquisteremo lo spazio modellando il movimento virtuosi della bellezza del gesto
saremo danza tra le macerie di ferite e possibilità
tensione mente-corpo in forma-flusso

saremo l’aria che ci attraversa
voce-respiro
saremo vibrazione
meditazione accompagnata da ritmi nuovi
atti gratuiti di bellezza
silenzio e acrobazie
sciamani
d’inattese ecologie